![]() | |
![]() ![]() | |
![]() ![]() ![]() ![]() ![]() Vita e storia di DINO Era il 12 marzo del ’22 quando nasceva a Chieti Dino, l’unico figlio di una nobile e ricca famiglia, gli Zambra, tra l’altro proprietari dell’Abbazia di S. Maria Arabona e del complesso conventuale ad essa collegato. Morirà ventidue anni dopo, il 3 gennaio del ’44, in un ospedale di Lecce, per una meningite, durante il servizio militare di guerra: nessuno sapeva chi fosse, nessun famigliare potè essere avvertito perchè il fronte tagliava in due l’Italia: ma un suora, quando si accorse che la fine era vicina, chiamò altri ad assistere al trapasso di un giovane “che aveva il Paradiso negli occhi”. Prendiamo allora in mano il Diario che Dino ha lasciato e proviamo a leggerlo. Di esso è arrivata sino a noi solo la parte che riguarda il 1941: Dino ha finito gli studi liceali a Chieti – con ottimi risultati – e va a Milano a frequentare l’Università Cattolica. Ma inutilmente cercheremmo altre notizie biografiche o “di colore”: il Diario è la “storia di un’anima” che cerca Cristo, che vuole mettersi alla sua sequela, che si sforza di coniugare la vita che tutti i giovani del suo tempo vivono – studio, rapporti con amici, parenti, impegni di volontariato, cura degli affari di famiglia, primo palpito d’amore per una compagna di studi – con l’anelito alla perfezione, la ricerca tenace di quanto possa rendere la sua giornata più gradita al Signore. Nella linearità delle intenzioni e nella semplicità dello scritto, si ritrovano però filoni diversi e tutti estremamente intriganti, nella loro modernità e nella loro capacità di parlare a tutti, e soprattutto ai giovani, oggi come al tempo nel quale esso fu redatto: la complessità dell’animo del giovane trova nel Diario una straordinaria forza comunicativa, in cui i diversi fili del tessuto della vita si intrecciano in un arazzo che dà la visione di una “straordinaria ordinarietà” perché anche le vicende più apparentemente banali trovano una chiave di lettura che passa attraverso il desiderio di fare prima di tutto e soprattutto la volontà del Signore. Possiamo perciò leggere il rapporto con i genitori, fondato sull’affetto, non privo di incomprensioni, per il padre che vorrebbe un figlio più attento alla “roba”, e la devozione incondizionata per la madre, tra l’altro discendente diretta di S. Camillo de’ Lellis, confidente ed amica, nella commovente ricerca di comportamenti capaci di non dispiacere o deludere le aspettative famigliari, ma anche senza scendere a compromessi con il forte desiderio di una giustizia sociale più vicina al Vangelo: “Quando la proprietà di mio padre verrà in mio possesso non la darò ai singoli contadini che la coltivano perché sarebbe difficile fare la ripartizione secondo i meriti e nello stesso tempo secondo il numero di componenti la famiglia. Preferisco vendere tutto e dare il ricavato ai poveri”. Ed ancora “che cosa vana la nobiltà! Io non sarò che un misero dottorucolo in lettere o filosofia e me, la mia persona, si deve considerare non una patente acquistata da un mio avo arrichitosi col commercio”. Sul pensiero politico di Dino si intreccia un altro filo della trama straordinaria di questa vita. Un filo di incredibile modernità e freschezza: “Noi dobbiamo mettere sossopra il mondo. Qual è il mio programma massimo? Instaurazione del Regno di Dio sulla terra. ‘Adveniat regnum tuum’. Se Cristo ci fa pregare così, questo giorno verrà. Le nazioni rette secondo i principi cristiani, i rapporti tra i popoli regolati dalla carità, dalla mutua comprensione, senza inciampare in tante piccole questioni, e in ogni nazione, la religione rispettata e amata e seguita da tutti, la famiglia rispettata, le classi avvicinate(AVVICI), l’autorità conciliata con la libertà.” E si era nel 1941, in pieno regime! “Caratteristica principale del tempo presente che basterebbe per definirlo, mi sembra che sia il materialismo. Si guarda, si considera, ci si preoccupa solo di ciò che è prettamente materiale. Si ignora e se vuole ignorare ciò che è più alto, più spirituale. Causa credo che ne sia e insieme conseguenza, lo sviluppo delle industrie, del commercio e dello smodato desiderio di guadagno che è in tutti. C’è poi l’egoismo individuale che spiega gli odi, i contrasti, la mancanza di carità per i nostri fratelli, ed egoismo nazionale (...). Mancanza di volontà poi o meglio di dominio sui propri sensi. Ci si abbandona ai piaceri e si è incapaci di resistere alla loro seduzione. (...) Al nostro tempo si riflette e si medita poco, o se lo si fa, è soltanto per interessi materiali. Da questa mancanza di riflessione dipende (...) l’accettazione supina da parte di molti di teorie erronee: ingannati da belle frasi, non sottopongono quello che viene loro detto ad un esame della ragione sulla base di principi sicuri ed incontrovertibili. Oggi si legge, si sente e si vede, si pensa molto, ma si riflette poco.” Ed ancora: “Certo che molto dipende dall’ignoranza dei principi cristiani e degli insegnamenti delle Encicliche, e in verità anche fra i cristiani più ferventi, non so quanti le conoscano... Di qui deriva la rovina attuale, dall’apostasia del ceto intellettuale dagli insegnamenti del Vangelo” Possiamo ritrovare poi la storia di un amore delicato e purissimo per una compagna di studi: “Anche in questa vita si possono avere gioie pure. Il mio affetto per i miei genitori si è rafforzato. Quello per lei non scema affatto ma va facendosi ancora più puro se è possibile”. “Riguardo a lei in particolare mi convinco sempre più della sua bontà. Potrei trovare una ragazza più ricca, più nobile, più bella, forse anche più intelligente ma difficilmente più buona. Anche il benefico influsso che esercita su di me mi sembra una prova della sua bontà”. Eppure lo assale l’ansia di non sapere interpretare la volontà del Signore: se Lui lo volesse tutto per sé, chiamandolo al Sacerdozio? Si legga questo passo che tra l’altro tocca anche vertici di commovente poesia “Una sera andai a S. Pietro. La basilica era illuminata dalla luna, la piazza quasi deserta, si sentiva soltanto lo scrosciare delle fontane. Quella Chiesa era là da centinaia di anni immobile come l’idea eterna che rappresenta in mezzo al fluttuare degli avvenimenti. Si sono succeduti uomini e tempi ma quel tempio è rimasto, nel tempio è l’uomo che rappresenta Cristo sulla terra, non importa se si chiami Pio XII o Leone X, quel vegliardo è lì che prega, che soffre, che ama. In quella piazza sembrava appunto di esser usciti fuori della terra, fuori della realtà per rifugiarsi almeno per un momento nella tranquillità, nella pace. E davanti al giganteggiare di quell’idea mi sono offerto a lei, tutta la mia vita, la mia opera, tutto me stesso. Per lei si può rinunciare alla gloria, alle ricchezze, alla felicità. La ricompensa sarà proporzionata la sacrificio. Ma anche senza alcuna ricompensa è alla belleza dell'ideale che mi consacro. Un ideale impedito al suo sorgere, calpestato, proclamato vinto e sempre rinascente più florido, più vigoroso, l’ideale dei santi, l’ideale che mi può far santo”. Ci si dimentica che sta scrivendo un ragazzo di soli diciannove anni e che siamo nel 1941, perché in queste parole si sente il respiro della eternità della Chiesa di Cristo. |
|
![]() ![]() |
|
![]() |
|
![]() |