Santa Teresa d’Ávila
anta Teresa d’Ávila descrisse nel Libro
della sua vita la visione del Paradiso:
«Un giorno, mentre ero in orazione, Gesù
si degnò mostrarmi le sue mani: erano
così belle che non so come descriverle.
Rimasi molto turbata, come mi avviene
sempre dal principio quando in questi
fatti soprannaturali vi sia qualche cosa di
nuovo. Di lì a pochi giorni vidi il suo
Volto divino e ne rimasi completamente
rapita. Non potevo intanto spiegarmi
perché il Signore mi si mostrasse a poco
a poco, dato che poi mi doveva dare la
grazia di vederlo interamente. Ma intesi
che così faceva per adattarsi a l a mia naturale
debolezza. Sia Egli per sempre benedetto!
No, una creatura così miserabile e vile
come me, non avrebbe potuto resistere a
tanta gloria, se quel Dio di bontà che lo
sapeva non mi avesse disposta a poco a
poco. Le verrà forse da pensare. Padre
mio, che non ci voglia poi tanto per
contemplare due mani e un bellissimo
volto. Ma i corpi glorificati rifulgono di
tanta gloria e d’una bellezza così elevata-
mente soprannaturale che la loro vista
sconvolge la ragione. Io me ne rimanevo
piena di paura, tutta inquieta ed alterata,
benché poi non tardassi a sentirmi molto
sicura, e mi sparisse ogni timore per
gli effetti che ne riportavo. L’Umanità
sacralissima di Gesù Cristo mi apparve
tutta intera nella festa di San Paolo,
mentre assistevo alla Santa Messa. Era in
quella forma sotto cui si suole dipingere
risuscitato, ma di una bellezza e maestà
incomparabili, come le ho già scritto
dettagliatamente dopo il formale comando
che me ne ha dato. L’ho fatto con molta
pena perché sono cose che a volerle dire,
annientano. Tuttavia l’ho fatto nel miglior
modo possibile, per cui non v’è motivo di
ripetermi. Dirò soltanto che se a godimento
della vista non vi fosse in Cielo che
l’eccelsa bellezza dei corpi gloriosi, se
n’avrebbe sempre una beatitudine
immensa, specialmente nel contemplare
l’Umanità di Nostro Signore Gesù Cristo.
Se è così sulla terra, dove quando Egli si
mostra lo fa in proporzione della nostra
naturale debolezza, che sarà nel Cielo dove
lo si godrà in tutto il suo splendore?…
E’ una luce che non abbaglia, un candore
pieno di soavità, un infuso splendore che
incanta deliziosamente la vista senza
stancarla, come non la stanca la chiarezza
con cui si vede quella sublime realtà. E’
una luce così diversa dalla nostra che
quella del sole, in confronto, sembra
molto appannata, tanto che dopo non si
vorrebbe nemmeno aprire gli occhi. E’
come se da una parte si vedesse un’acqua
limpidissima scorrere sopra un cristallo
illuminato dal sole, e dall’altra un’acqua
molto torbida volgere fra la polvere sotto
un cielo nuvoloso. Non già che si ceda
sole o luce che abbia somiglianza con
quella del sole. Anzi, questa luce sembra
piuttosto artificiale e quella soltanto
naturale: luce senza tramonto, che nulla
può turbare perché eterna, di tal portata
che nessuno potrebbe immaginare,
neppure se fosse di grandissimo ingegno
e vi penasse per tutta la vita».
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