Beata Elisabetta Canori Mora
a Beata Elisabetta Canori Mora
appena morta apparve splendente alla
sorella Maria mentre stava recitando le
preghiere prima di coricarsi, e le raccomandò
le sue figlie finché fossero sistemate.
Dato che non sapeva niente della morte
della sorella, Maria passò la notte insonne
per la forte emozione, e al mattino si
affrettò a recarsi alla casa della sorella
per accertarsi se fosse vero. La Beata
apparve anche alla giovane Maria Bianchi,
mentre era a letto malata e aspettava la cena.
Ella «si vide dinanzi tutta splendente la
Beata che le disse: "Io me ne vado al
Cielo, ricordatevi di confessarvi del tal
peccato… che per dimenticanza avete
lasciato di accusare". Subito dopo l’anima
disparve come un lampo. La giovane
mandò un grido e chiamò la mamma. A
costei essa disse: "La signora Elisabetta è
andata in Paradiso adesso; guarda bene
che ora è". "Figlia mia, tu sogni a occhi
aperti, ciò è impossibile"». Ma Maria
insisteva piangendo, e dichiarando, come
prova, che la Beata le aveva manifestato
un peccato dimenticato in confessione.
Il giorno appresso la mamma e le sorelle
della malata, informatesi, si convinsero
che l’ora e il momento dell’apparizione
corrispondevano al tempo del transito
della Beata. Altre apparizioni avvennero a
Marino (Roma); in particolare viene
ricordata quella a un’amica, alla quale
disse: «Se volete venire dove vado io,
bisogna che calchiate questa strada spinosa,
e facciate quello che vi ho raccomandato
più volte quando ero in vita. Non dubitate
che non dimenticherò alcuno della vostra
famiglia, e disparve».
Elisabetta Canori Mora nacque a Roma
il 21 novembre 1774 da Tommaso e Teresa
Primoli, in una famiglia benestante, profon-
damente cristiana e attenta all’educazione
dei figli. I coniugi Canori avevano dodici
figli, sei dei quali morirono nei primi anni
di vita. Nel giro di pochi anni, i cattivi
raccolti, la moria di bestiame e l’insolvenza
dei creditori, cambiarono la situazione
economica e Tommaso Canori si trovò
costretto a ricorrere all’aiuto di un fratello
che abitava a Spoleto che si fece carico
delle nipoti Elisabetta e Benedetta. Lo zio
decise di affidare le nipoti alle monache
Agostiniane del monastero di S. Rita
da Cascia, qui Elisabetta si distinse per
intelligenza, profonda vita interiore e
spirito di penitenza.
Rientrata a Roma, condusse per
alcuni anni una vita mondana, facendosi
notare per raffinatezza di tratto e bellezza.
Elisabetta giudicherà questo periodo
della sua vita un «tradimento», anche se
la sua coerenza morale non venne meno.
Il 10 gennaio 1796 Elisabetta sposò
Cristoforo Mora, ottimo giovane, colto,
educato, religioso, ben avviato nella
carriera di avvocato. Dopo alcuni mesi,
la fragilità psicologica di Cristoforo Mora
compromise tutto. Costretta a guadagnarsi
da vivere col lavoro delle proprie mani,
seguì con la massima attenzione le figlie
e la cura quotidiana della casa, dedicando
nello stesso tempo molto spazio alla
preghiera, al servizio dei poveri e
all’assistenza degli ammalati. Conobbe
e approfondì la spiritualità dei Trinitari
ed entrò nel Terz’Ordine. Morì il
5 febbraio 1825.
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