guardia i cristiani dal pericolo di
cadere nei tranelli del demonio e così
andare al’Inferno: «Non avvenga mia che
siamo congiunti a Dio nell’amicizia e siamo
a lui ribelli per i vizi e le passioni sosteniamo
con cattivi stratagemmi di essere i seguaci
del pessimo tiranno e omicida delle anime,
il diavolo; anzi ci rendano certamente più
vicini al cattivissimo nemico. Tanto più
infatti siamo avversi e ostili a Dio, sebbene
ci attribuiamo il nome di fedeli, quanto più
ci spingiamo nell’animo a servire azioni
vergognose. Né ormai a noi proviene nulla
di vantaggioso dalla pace del mondo se siamo
affetti da malanimo e ci ribelliamo contro
il proprio Creatore, né sopportiamo di
sottostare al suo comando: ci siamo venduti
a innumerevoli crudeli padroni, che incitano
al vizio e alle malizie e alla via che conduce
alla perdizione, che ci è dato di scegliere, per
nostra iniziativa, innanzi a quella preparata
per la salvezza. Essendo Dio buono e benigno
e volendo totalmente estirpare da noi il
male e il seme del vizio, vale a dire il piacere
illecito e la concupiscenza, che sottrae l’anima
alla divina carità permette al diavolo di
arrecare a noi fatiche e tormenti. Per cui
in una volta e contemporaneamente, ora
(il demonio) toglie dall’animo con sforzo il
veleno della voluttà di quanto ante cedeva,
ora invero contro quella vecchia cosa e
quelle realtà che accarezzavano solo il
senso, inietta odio verso di noi e un forte
dispiacere nell’animo avvilito. Lo scopo di
fare queste cose sta solo nel causare la pena,
di fronte alla quale non possiede nessun
altro vantaggio. Infine facendo ciò, la sua
potenza vendicatrice ancor più protesa all’odio
degli uomini, essa stessa, inf liggendo i mali,
costringe e richiama alla virtù coloro che
spontaneamente si erano sottratti da essa.
I demoni non hanno odiato la castità,
né hanno detestato il digiuno, non l’eroga-
zione del denaro, non l’ospitalità, non il
canto dei salmi, non l’apprendimento della
conoscenza, non il silenzio o la solitudine,
non le austere e alte discipline, non la
durezza della pietra, non le veglie, non tutte
le altre cose di cui è insignita la vita religiosa
e la pia istituzione, la loro attenzione invece
è rivolta a coloro che operano quelle cose
(PG 90, 1193-94.1215-16.1291-92)».
San Massimo è detto «il Confessore»
perché seppe difendere con vigore l’orto-
dossia cristiana, con la parola, con gli scritti,
con la vita, contro il monotelismo. Nacque
nel 580 a Costantinopoli da nobile famiglia.
Ricevette una buona educazione culturale e
solida preparazione e ben presto occupò
una posizione rilevante nella corte imperiale.
Ad un certo momento della sua vita, però
lasciò tutti gli incarichi e abbandonata la
vita politica, si ritirò nel monastero di
Crisopoli. A causa dell’invasione persiana
del 626, Massimo si ritirò in Africa. Si
trasferì poi a Roma presso la Sede
Apostolica. A causa delle persecuzioni
subì processi e confini. Morì il 13 agosto
del 662 nella fortezza di Schemaris a Lazica.
S an Massimo il Confessore mise in