scritta da San Girolamo, vi sono
molti riferimenti alla lotta contro
il demonio: «Appena cominciò a spuntare
il giorno il venerabile vegliardo (Antonio),
sorreggendo con il bastone le membra
malferme, iniziò a incamminarsi, senza
sapere nemmeno dove. E già il sole cocente
ardeva dall’alto, a mezzogiorno; ciò nono-
stante, egli non si lasciava distogliere dal
viaggio intrapreso, dicendo: “Credo nel
mio Dio, il quale, come mi ha promesso,
indicherà il suo servo”. Non aveva ancora
finito di pensarlo, che vide l’uomo misto a
un cavallo, cui i poeti diedero appellativo
di ippocentauro. Appena lo vide, si armò la
fronte con il segno della salvezza. E, “senti –
disse – da che parte abita qui, il servo di Dio
(Paolo l’eremita?). Quello, bofonchiando fra
i denti non so che di barbaro, e smozzicando
le parole più anche articolare, con orribile
pronuncia, cercava d rivolgergli un discorso
sufficientemente grazioso. E con la destra
protesa gli indicò l’itinerario desiderato. E
così, fuggendo velocemente per i campi pia-
neggianti, svanì agli occhi dello stupefatto.
Se questo sia stato simulato dal diavolo
per spaventarlo, o, come accade, il deserto,
fertile di animali mostruosi, generi anche
una tale bestia, per me rimane incerto.
Dunque, Antonio, stupefatto, rimuginando
fra sé quel che aveva visto, procedeva
sempre di più. Senza far nessuna sosta,
scorse in una valle sassosa un omuncolo:
non molto grande, con narici lunghe e con
corna aguzze sulla fronte. A questo spettacolo,
attonito, il buon guerriero afferrò lo scudo
della fede e a corazza della speranza. Ciò
nonostante, i suddetto animale gli offrì quasi
in pegno di ace, quale sostentamento era il
viaggio, dei frutti di palma. Quando se ne
accorse, Antonio si fermò e, chiedendogli
chi fosse, ottenne da lui questa risposta: “io
sono mortale, e no tra gli abitanti de deserto
che i gentili, ingannati da vari errori, venerano
come fauni, satiri e incubi. Fungo da ambas-
ciatore del mio gregge. Ti preghiamo di
supplicare per noi il comune Signore;
abbiamo saputo ch è già venuta la salvezza
dl mondo e la sua voce si è sparsa su tutta
la terra”.
Mentre così parlava, il longevo
viandante rigava abbondantemente il volto
di lacrime, che la grande gioia effondeva
quali segni del cuore. Gioiva, infatti, della
gloria di Cristo e della distruzione di Satana.
Al tempo stesso, si meravigliava che potesse
comprendere il suo discorso, e, battendo
il suolo con il bastone, diceva: “Guai a te,
Alessandria, che al posto di Dio veneri
mostri! Guai a te, città meretrice, dove
convennero i demoni di tutto l’orbe! Che
cosa dirai adesso? Le bestie parlano di
Cristo!”. Non aveva ancora finito di dire
questo, ed ecco quell’animale fuggì quasi
fosse dotato di ali».
N ella vita di Paolo eremita di Tebe