Santa Teresa d’Avila
eresa di Gesù nacque ad Ávila in
Spagna il 28 marzo 1515 e morì
ad Alba de Tormes il 4 ottobre 1582. In
un’occasione ebbe la visione dell’Inferno
che raccontò così nella sua Autobiografia :
«Un giorno mentre ero in orazione, mi
trovai tutt’a un tratto trasportata intera
nell’inferno. Compresi che Dio mi voleva far
vedere il luogo che i demoni mi avevano
preparato, e che io mi ero meritata con i
miei peccati. Fu una visione che durò
pochissimo, ma vivessi anche molti anni,
mi sembra di non poterla più dimenticare.
L’ingresso mi pareva un cunicolo molto
lungo e stretto, simile a un forno assai
basso, buio e angusto; il suolo tutto una
melma puzzolente piena di rettili schifosi.
In fondo, nel muro, c’era una cavità scavata
a modo di nicchia, e in essa mi sentii
rinchiudere strettamente. E quello che
allora soffrii supera ogni umana immagi-
nazione, né mi sembra possibile darne
solo un’idea perché cose che non si sanno
descrivere. Basti sapere che quanto ho detto,
di fronte alla realtà sembra cosa piacevole.
Sentivo nell’anima un fuoco che non
so descrivere, mentre dolori intollerabili
mi straziavano orrendamente il corpo.
Nella mia vita ne ho sofferto moltissimi,
dei più gravi che secondo i medici si
possano subire sulla terra, perché i miei
nervi si erano rattrappiti sino a rendermi
storpia, senza dire dei molti altri di diverso
genere, causatimi in parte del demonio.
Tuttavia non sono nemmeno da
paragonarsi con quanto allora ho sofferto,
specialmente al pensiero che quel tormento
doveva essere senza fine e senza alcuna
mitigazione. Ma anche questo era un
nulla innanzi all’agonia dell’anima. Era
un’oppressione, un’angoscia, una tristezza
così profonda, un così vivo e disperato
dolore che non so come esprimermi. Dire
che si soffrano continue agonie di morte
è poco, perché almeno in morte pare che
la vita ci venga strappata da altri, mentre
qui è la stessa anima che si fa in brani da
sé. Fatto sta che non so trovare espressioni
né per dire di quel fuoco interiore né per
far capire la disperazione che metteva il
colmo a sì orribili tormenti. Non vedevo
chi me li faceva soffrire, ma mi sentivo
ardere e dilacerare, benché il supplizio
peggiore fosse il fuoco e la disperazione
interiore.
Era un luogo pestilenziale, nel quale
non vi era più speranza di conforto, né
spazio per sedersi o distendersi, rinser-
rata com’ero in quel buco praticato nella
muraglia. Orribili a vedersi, le pareti
mi gravavano addosso, e mi pareva di
soffocare. Non v’era luce, ma tenebre
fittissime; eppure quanto poteva dar
pena alla vista si vedeva ugualmente
nonostante l’assenza della luce: cosa che
non riuscivo a comprendere».
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